01/01/2013 - 01:00

Approvata la mozione sulla messa in sicurezza del territorio

E' stata approvata dalla Camera dei Deputati, all'unanimità, una mozione congiunta sulla messa in sicurezza del territorio, la riqualificazione edilizia e l'edilizia sostenibile.
La Camera, premesso che:
la difesa del territorio rappresenta un interesse prioritario della collettività da tutelare; il suolo è infatti una risorsa ambientale non riproducibile la cui trasformazione produce effetti permanenti su ambiente e paesaggio;
nel nostro Paese, inoltre, il dissesto idrogeologico è un evento naturale sempre più ricorrente, legato alla particolare conformazione geologica del territorio, alla fragile e mutevole natura dei suoli che lo compongono ed all'acuirsi delle variazioni climatiche estreme; fenomeni come i processi erosivi del suolo, le alluvioni, le esondazioni, gli arretramenti delle rive, le frane, le subsidenze, i terremoti comportano perdite di vite umane e ingenti danni materiali e ambientali; l'intervento umano e la pressione antropica sul territorio hanno accelerato o innescato tali processi naturali oppure hanno trasformato il territorio, rendendolo vulnerabile a processi destabilizzanti;
la tragedia di Messina è solo l'ultimo degli eventi luttuosi che dimostrano le gravi conseguenze che possono derivare da una cattiva gestione del territorio, dall'assenza di un'efficace azione di tutela e dalle carenze della politica urbanistica ed edilizia;
la commissione interministeriale per lo studio della sistemazione idraulica e della difesa del suolo, presieduta dal professor De Marchi, nella relazione conclusiva del 1970, individuava i gravi problemi idrogeologici dell'Italia, proponendo un piano d'intervento trentennale che prevedeva la spesa di 9.700 miliardi di lire di allora; alla commissione va riconosciuto il merito di aver sviluppato un approccio sistemico ai problemi connessi col governo del territorio, ma anche di aver rivolto l'attenzione all'interazione tra opere umane e ambiente complessivamente inteso; tuttavia, le proposte della commissione De Marchi sono state attuate con grave ritardo, tramite la legge quadro n. 183 del 1989 sulla difesa del suolo, circa 20 anni dopo la! loro redazione;
limitandosi al solo rischio idrogeologico negli ultimi 80 anni si sono verificati 5.400 alluvioni e 11.000 frane; secondo il ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono a «rischio elevato» l'89 per cento dei comuni umbri, l'87 per cento di quelli lucani, l'86 per cento di quelli molisani, il 71 per cento di quelli liguri e valdostani, il 68 per cento di quelli abruzzesi, il 44 per cento di quelli lombardi. In pratica, oltre la metà degli italiani vive in aree soggette ad alluvioni, frane, smottamenti, terremoti, fenomeni vulcanici e persino maremoti; secondo una dettagliata tabella elaborata dal Cineas, il consorzio universitario del Politecnico di Milano, che si occupa della cultura del rischio, nel solo decenni! o 1994-2004, per tamponare i danni di alluvioni, terremoti e frane più gravi, lo Stato ha dovuto tirar fuori complessivamente 20.946 milioni di euro. Vale a dire oltre due miliardi l'anno ai quali va aggiunto un altro miliardo e mezzo complessivo per gli interventi minori;
se si aggiungono i costi dei terremoti, secondo i dati diffusi alcuni anni fa dal dipartimento della protezione civile nel periodo 1968-2000, l'intervento statale solo per l'emergenza e la ricostruzione post-terremoto ha superato i 120 miliardi di euro, con una media di 3,8 miliardi all'anno. In Italia il 40 per cento della popolazione vive in aree a rischio sismico, dove il 64 per cento degli edifici non è costruito secondo le norme antisismiche e dove sono morte 120.000 persone nell'ultimo secolo. Milioni di persone sono esposte al rischio vulcanico, che nell'area vesuviana è incerto non nel «se» ma in un «quando» che gli scienziati concordano nel definire prossimo;!
complessivamente, a partire dal 1968 l'anno del terremoto del Belice, lo Stato ha speso una somma quantificabile tra i 140 ed i 150 miliardi di euro, una massa di risorse in grado di condizionare gli equilibri dei bilanci pubblici annuali e pluriennali;
si aggiunga che l'Italia è un Paese fortemente antropizzato, con una densità media pari a 189 abitanti per chilometro quadrato, assai superiore alla media dell'Europa a 15, pari a 118 abitanti per chilometro quadrato (la Francia conta 114 abitanti per chilometro quadrato, la Spagna 89), ma con fortissime sperequazioni nella distribuzione territoriale: ai 68 abitanti per chilometro quadrato della Sardegna si contrappongono i 379 abitanti per chilometro quadrato della Lombardia, che da sola registra una volta e mezzo gli abitanti della Finlandia; la Campania arriva a 420 abitanti per chilometro quadrato, ma proprio nella cosiddetta «zona rossa», soggetta a rischio di distruzione pressoché totale in caso di ripresa di attività del Vesuvio, spiccano i comuni con la più alta densità abitativa d'Italia (oltre 12.000 abitanti per chilometro quadrato), caratterizzati da un'espansione edilizia incontrollata, come Portici o S. Giorgio a Cremano;
secondo quanto emerso nel corso dell'audizione del direttore dell'Agenzia del territorio presso la Commissione ambiente territorio e lavori pubblici della Camera il 27 ottobre 2009, il patrimonio italiano, censito al 31 dicembre 2008 consta di circa 64 milioni di unità immobiliari, di cui la metà, vale a dire 32 milioni, di unità abitative, corrispondenti ad una superficie lorda di quasi 3,7 miliardi di metri quadrati. Rispetto alla popolazione residente, il dato fa evincere che in Italia la media di sola superficie abitativa disponibile per ciascuna persona è pari a 62,1 metri quadrati;!
stando ai dati Istat, nel 2005 si sono stimati in Italia 10,9 milioni di edifici ad uso abitativo e 1,9 milioni di edifici aventi altre funzioni, per un totale di 12,8 milioni di edifici. La suddivisione per unità abitative ha portato a stimare il patrimonio immobiliare in circa 27 milioni di abitazioni; i riferimenti statistici più recenti (Cresme/Saie 2008) sottolineano come questa tendenza, negli ultimi anni, abbia conosciuto una ulteriore, violenta accelerazione: dal 2003 ad oggi, infatti, sono state costruite circa 1.600.000 abitazioni (oltre il 10 per cento delle quali abusive) nonostante da vent'anni, la popolazione in Italia non sia cresciuta, ma, al contrario, sia calata sensibilmente e solo negli ultimi anni ha dato segni di ripr! esa, grazie al contributo degli immigrati, una situazione che ci porta ad essere il primo Paese d'Europa per disponibilità di abitazioni, di cui il 20 per cento non occupate;
una recente mappatura effettuata dal Cresme sullo stato degli edifici pubblici nel Paese evidenzia la condizione critica in cui versano più di 20 mila edifici, tra scuole e ospedali, sparsi in tutto il Paese, realizzati in aree dichiarate di estrema pericolosità per esposizione al rischio idrogeologico e sismico, mentre l'Enea ha stimato che i 4/5 del patrimonio edilizio italiano richiede interventi di riqualificazione energetica;
il programma nazionale delle bonifiche, varato nel 1998, ha beneficiato di finanziamenti passati da 27 miliardi di vecchie lire a 3 mila miliardi di vecchie lire nel 2000, fino agli attuali 500 milioni di euro, ma poco si conosce circa le modalità con cui vengono gestite queste risorse;
tutto ciò comporta problemi di ogni genere: dai servizi pubblici costantemente prossimi al collasso al degrado dei suoli e delle falde acquifere, alle difficoltà di attuare politiche sociali, abitative, di sviluppo, migratorie e di integrazione adeguate a causa della mera mancanza di spazio;
per quel che riguarda gli ambiti del presente atto di indirizzo, insorgono problemi riguardanti l'insediamento di quote della popolazione in aree a maggior rischio, la competizione su aree disponibili sempre più ridotte tra le varie attività umane (edilizia abitativa, attività produttive, opere pubbliche), che si risolve regolarmente a danno delle aree agricole e delle aree protette, la difficoltà a realizzare le opere infrastrutturali in spazi già occupati; la sindrome di Nimby è figlia non solo dell'egoismo e dell'individualismo, ma anche del fatto che sui suoli nei quali si intende utilmente realizzare un'opera pubblica esiste già un coacervo di interessi economici privati, ampiamente tutelati dall'ordinamento;
la pianificazione urbanistica e l'assetto del territorio sono inevitabilmente strettamente connesse: il governo del territorio include, infatti, l'urbanistica, l'edilizia, i programmi infrastrutturali, il contrasto al dissesto idrogeologico, la difesa del suolo, la tutela del paesaggio; gli interventi per la tutela ed il risanamento del suolo e del sottosuolo vanno, quindi, necessariamente coordinati - se vogliono essere realmente efficaci - con le legge urbanistiche e con i piani regolatori, soprattutto con quelli urbanistici comunali, e non soltanto con i grandi piani territoriali. Spesso, infatti, gli enti locali - per motivazioni politiche, quali, ad esempio, l'approvazione dei piani urbanistici o la destinazione delle aree edificabili! - non attuano il principio della prevenzione e, a volte, strutture pubbliche, quali scuole, caserme, ospedali, stazioni, vengono costruite in aree a rischio, quali, per esempio, quelle nelle prossime vicinanze dei fiumi;
è pertanto indispensabile avviare una nuova politica nazionale per il governo del territorio che individui gli obiettivi da raggiungere, gli strumenti da utilizzare e le risorse da mobilitare, in merito alla quale l'uso parsimonioso delle risorse non riproducibili, come il suolo, deve essere il riferimento strategico da adottare, privilegiando:
- la trasformazione delle aree su cui insistono immobili privi di qualità e non antisismici nonché la delocalizzazione degli immobili ubicati in aree a rischio o non idonee;
- la messa in sicurezza del territorio e l'implementazione di efficaci forme di monitoraggio e gestione dei rischi che contraddistinguono strutturalmente il nostro Paese;
- il rafforzamento delle forme di tutela delle aree e dei beni finalizzate alla conservazione dell'ambiente, dell'ecosistema e delle sue componenti primarie, del paesaggio e del patrimonio storico-artistico;
 -l'efficientamento energetico del patrimonio edilizio esistente;
le politiche di attenzione al governo del territorio sono fondamentali e imprescindibili, sia per il corretto ed equilibrato sviluppo ambientale del Paese, che per le conseguenze non trascurabili dovute a eventi ambientali calamitosi; è, inoltre, compito specifico dello Stato quello di assumere come principio generale valido quello del risparmio della risorsa territorio,
occorre - in sostanza - adottare adeguati provvedimenti che consentano di perseguire il nostro modello di sviluppo economico e sociale, ottimizzando le risorse di spazio disponibili e tenendo conto del fatto che i costi delle emergenze possono essere ridotti solo se si impongono scelte specifiche di politica territoriale indirizzate alla prevenzione, alla costante manutenzione, all'uso delle migliori tecniche costruttive, all'apposizione di vincoli e limitazioni di uso;
il 12 novembre 2009 il Governo ha presentato alla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici della Camera dei deputati i dati sul rischio idrogeologico attuale, le stime per gli interventi di messa in sicurezza e le procedure, anche straordinarie, per attivare gli interventi, a cominciare da quelle pluriennali previste dal piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico; l'estensione delle aree a criticità idrogeologica è pari al 9,8 per cento del territorio nazionale, del quale il 6,8 per cento coinvolge direttamente zone con beni esposti, quindi centri urbani, infrastrutture e aree produttive, tutti strettamente connessi con lo sviluppo economico del Paese; il fabbisogno necessario per la realizzazione di interventi pe! r la sistemazione complessiva della situazione di dissesto su tutto il territorio nazionale è stimato in 44 miliardi di euro, dei quali 27 miliardi per il Centro-Nord e 13 miliardi per il Mezzogiorno, oltre a 4 miliardi per il fabbisogno relativo al recupero e alla tutela del patrimonio costiero italiano;
impegna il Governo:
a presentare ed a dotare delle opportune risorse pluriennali il piano nazionale straordinario per il rischio idrogeologico, secondo le indicazioni già comunicate alle Camere;
ad attuare quanto previsto dalla risoluzione n. 8-00040 presentata alla Camera dei deputati, approvata dalla Commissione ambiente, territorio e lavori pubblici il 21 aprile 2009, in particolare per quel che riguarda la sollecita attuazione della direttiva 2007/60/CE del 23 ottobre 2007, relativa alla valutazione e gestione dei rischi di alluvioni;
a promuovere iniziative normative di competenza che introducano norme a favore della difesa del suolo e della riduzione del rischio idrogeologico, in modo tale da costituire un quadro di riferimento certo per le singole normative regionali e che individui alcuni punti qualificanti per una gestione rispettosa e sostenibile del paesaggio e del territorio, tramite i quali, nell'assoluto rispetto delle competenze regionali:
a) riconoscere il territorio come bene comune e risorsa limitata ed esauribile, quale presupposto irrinunciabile per una pianificazione urbanistica sostenibile;
b) dettare norme quadro sull'utilizzo dei suoli e sulla tutela delle aree di maggior pregio, con particolare riguardo alle aree a vocazione agricola ed alle aree protette;
c) realizzare - nell'ambito delle proprie prerogative - un'efficace e severa politica di contrasto alle violazioni in materia urbanistica e all'abusivismo edilizio, soprattutto costiero, rafforzando il sistema dei controlli in funzione di una maggiore attenzione al rispetto del suolo e garantendo l'applicazione di sanzioni certe per gli attori che non rispettino le normative in materia;
d) favorire la riqualificazione energetica del patrimonio abitativo e industriale esistente in funzione di un adeguamento tecnologico che permetta un maggiore risparmio energetico, anche attraverso la previsione di un sistema di incentivazione stabile e certo nel medio-lungo periodo, prevedendo a tal fine di portare a regime le norme attualmente vigenti di agevolazioni fiscali per gli interventi di riqualificazione energetica degli edifici;
e) favorire la messa in sicurezza del patrimonio abitativo e industriale esistente, anche al fine di garantire una reale certificazione anti-sismica delle costruzioni, sia a destinazione abitativa, sia a destinazione industriale;
f) favorire la trasformazione e la riqualificazione delle aree già urbanizzate ma dismesse o sottoutilizzate, con eventuale «delocalizzazione» degli edifici pericolosi che sorgono in zone a rischio e riconoscendo priorità di intervento alle aree ad elevato rischio idrogeologico;
g) introdurre disposizioni che obblighino al coordinamento dei diversi piani territoriali e consentano la rapida realizzazione delle opere pubbliche ed infrastrutturali;
a promuovere, nell'ambito della propria competenza, la celere adozione di norme sulla qualità architettonica e sul sistema «casa qualità», valutando anche la possibilità di estendere il concetto di qualità alle tipologie costruttive degli immobili e prevedendo eventualmente incentivazioni fiscali per le opere realizzate secondo i citati criteri;
a sottoporre a rigorosa tutela, all'interno di idonei strumenti di pianificazione e nell'ambito delle proprie competenze, i centri e gli insediamenti storici che rappresentano l'identità culturale del nostro Paese;
a proteggere l'integrità delle aree agricole stabilendo che gli interventi edilizi su fabbricati rurali siano strettamente funzionali alla conduzione del fondo agricolo e accompagnati da apposite misure di massima tutela del territorio;
a valutare l'opportunità di vincolare una quota del gettito aggiuntivo dovuto alla realizzazione degli interventi ammessi dalle norme straordinarie di sostegno all'edilizia (la maggiore quota di imposta comunale sugli immobili, di oneri di urbanizzazione e di imposte erariali) al finanziamento di controprestazioni ecologiche appropriate alle diverse realtà locali sulla base delle esperienze di compensazione ecologica sperimentate in Germania, Olanda e Stati Uniti, nella prospettiva di una revisione in questo senso delle norme in materia di oneri concessori, di standard e più in generale dei rapporti convenzionali tra soggetti pubblici e privati;
ad avviare un'analisi sistematica degli usi del suolo su tutto il territorio nazionale secondo criteri uniformi, al fine di elaborare buone pratiche e politiche di successo applicabili ai diversi contesti territoriali;
a rafforzare la dotazione strumentale cartografica sugli usi del suolo e/o a favorire meccanismi che impegnino le regioni stesse a dotarsi di tali cartografie su più soglie temporali, così da poter dare avvio ad un monitoraggio sistematico dell'uso del suolo;
a prevedere il necessario e costante stretto coordinamento tra gli interventi per la tutela e il risanamento del suolo e del sottosuolo e quanto previsto dalle leggi urbanistiche e dai piani regolatori degli enti locali.
Tommaso Tautonico
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