01/01/2013 - 01:00

L'Italia è pronta alla mobilità sostenibile?

La finanziaria non prevede incentivi per il settore auto, scelta che fa temere un mancato rinnovo del parco auto con veicoli meno inquinanti. Per le nuove frontiere della mobilità privata e pubblica qualche esperimento delle amministrazioni locali.
Non ci sono motivi per sperare in un futuro positivo, almeno a breve, per la mobilità sostenibile nel nostro paese. La situazione è nota. In Italia manca ancora una produzione (e un'importazione) di vetture di serie a propulsione ibrida, elettrica, o a idrogeno. Ma se anche esistesse, i veicoli non sarebbero utilizzabili, perché sono praticamente inesistenti le reti distributive di idrogeno o di energia elettrica, e tutta da completare anche quella del gas metano. Allo stesso modo non c'è, in genere, grande cultura né di organizzazione dei sistemi globali di mobilità sostenibile urbana, né di integrazione dei mezzi di trasporto privati e pubblici, tanto meno del car sharing, se non a livello di rare sperimentazioni locali (da uno studio di Frost & Sullivan in Italia ci sono 15.000 abbonati con solo 530 veicoli, utilizzati maggiormente a Milano, Roma e Venezia). Tutto ciò senza coordinamento locale, né efficaci incentivi, budget o programmi da parte dell'amministrazione statale .
E per di più il ministro dello Sviluppo Economico, Claudio Scajola, ha dichiarato chiaramente al Senato che "Il governo ha ritenuto che anche in Italia sia giunto il momento di tornare alla normalità del mercato dell'auto, non rinnovando gli incentivi e intensificando invece il sostegno alla ricerca e all'innovazione". Quindi nel 2010 nessun incentivo di alcun tipo per migliorare il parco circolante automobilistico. Ovviamente organizzazioni di settore e centri studi si danno un gran da fare a valutare quanto questo mancato e inatteso prolungamento degli incentivi si tradurrà in vecchie vetture non eliminate dalla circolazione e nuovi modelli con propulsori meno inquinanti non venduti.
Ad esempio per il "Centro Studi Promotor": "Si tratta di una situazione fortemente negativa, non solo per il settore automobilistico, ma anche perché è molto avvertita l'esigenza di sostituire con soluzioni ecologiche o comunque con modelli nuovi e quindi radicalmente meno inquinanti, il parco circolante di veicoli commerciali adibito al rifornimento dei centri storici che, com'è noto, sono particolarmente esposti al pericolo di inquinamento. Senza incentivi il processo di rinnovamento del parco si interromperà con conseguenze fortemente negative. Una primavera nera con la previsione di una riduzione delle vendite complessive del 20% nel 2010".
Anche l'ANFIA (l'Associazione degli operatori italiani del settore automobilistico) è ancora più preoccupata: "Considerando l'assenza di interventi questo porterà al massimo a un mercato di 1,7/1,8 milioni a fine anno, dai 2,158 milioni del 2009, cioè un 25% in meno".
All'UNRAE (l'unione dei costruttori stranieri) avvertono che "Il livello basso degli ordini è l'indicatore delle pessime condizioni in cui il mercato italiano dell'auto si accinge ad affrontare i prossimi mesi. I 145.000 contratti con cui si è chiuso febbraio, cifra che rispetto all'analogo mese del 2009 registra una flessione di quasi il 35%, è la punta dell'iceberg di uno scenario molto negativo, all'interno del quale si evidenziano anche le forti difficoltà in cui si muove la domanda di vetture con motorizzazione a basso impatto: gpl, metano, ibrida".
Addirittura l'ANIAS (Associazione Nazionale Industria dell'Autonoleggio e Servizi Automobilistici di Confindustria) constata che si è verificato un crollo del 27% dell'immatricolazione dei veicoli nuovi (per veicoli commerciali è stato addirittura del 43,7%), con una riduzione del parco circolante del 2,7%. Un grave stop dopo quindici anni di crescita ininterrotta.
E, legate allo svecchiamento del parco circolante, ci sono anche le problematiche del taglio delle emissioni di gas serra. Infatti secondo il rapporto Ambiente Italia 2010 di Legambiente l'inquinamento derivato dal trasporto sta aumentando. Il parco circolante è di quasi 38 milioni di veicoli su 60 milioni di abitanti (quasi 6 auto ogni 10 abitanti), con un +91% dal 1980). L'uso del proprio autoveicolo costituisce l'82% della mobilità, i consumi per i trasporti sono aumentati del 24% e il trasporto merci su gomma vale il 71,9%, mentre il resto va diviso fra treni, navi, aerei. I pendolari sono 14 milioni, di questi quelli che quotidianamente utilizzano il treno sono solo 2.640.000. L'Italia è inoltre il terzo paese d'Europa per emissioni di CO2 soprattutto per i trasporti su gomma, con ben 550 milioni di tonnellate: un incremento del 5% annuo.
Insomma la situazione che riporta Legambiente è tutt'altro che allegra. E la strada per arrivare ad un'organizzazione della mobilità che sia effettivamente sostenibile è ancora lunga.
Anche se da questo punto di vista è da tempo che l'Unione Europea ha messo a punto il cosiddetto Piano d'azione Ue per la Mobilità Sostenibile dove non vengono presi in considerazione solo gli aspetti ecologico o della mobilità, ma anche quello fondamentale della salute dei cittadini.
E proprio in merito al ruolo che comuni e provincie hanno in questo piano vanno registrate le richieste di Nicola Valluzzi, rappresentate dell'UPI (Unione Provincie Italiane) nella sua audizione alla recente commissione Trasporti della Camera dei Deputati.
"Abbiamo apprezzato il fatto che l'Unione Europea abbia affermato nel Piano il ruolo fondamentale svolto dalle autorità locali, Regioni, Province e Comuni. Ma senza la previsione di risorse specifiche, c'è il rischio di produrre l'ennesimo libro delle buone intenzioni. "Come Province non possiamo che sottolineare la necessità di promuovere, all'interno di questo Piano, la definizione di piani urbani e provinciali della mobilità che tengano conto sia della pianificazione delle infrastrutture che della programmazione del trasporto pubblico. Solo attraverso il coordinamento di queste azioni, infatti, si potranno avere risultati decisivi sul piano della mobilità sostenibile". "Chiediamo poi che si preveda l'istituzione di Osservatori territoriali, attraverso cui mettere a sistema tutte le informazioni sulla mobilità urbana ed extraurbana. Una mole di dati che oggi non trova un momento di sintesi, e che quindi non permette un'organizzazione sistematica standardizzata delle informazioni e la loro messa in rete. Attraverso l'Osservatorio, invece, sarebbe possibile mettere a punto e scambiarsi buone pratiche ed indicazioni operative da seguire, permettendo così alle amministrazioni di intervenire con azioni mirate, e di utilizzare in maniera più razionale le risorse a disposizione".
 
Tommaso Tautonico
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