11/04/2013 - 18:10

Ambiente: proteggere i ghiacciai del Tibet o farli rendere?

C'è anche l'ecoturismo nell'Ecological Resettlement Program del governo cinese in Tibet, ma al prezzo di dislocare 530.000 pastori nomadi di yak (bovino himalayano) dello sterminato altopiano della provincia di Qinghai.
Un progetto che guarda all'ecoturismo solo in chiave economico-produttiva: vista la forte domanda mondiale di incontri ravvicinati con la natura, per Pechino il Tibet deve diventare la meta per chi vuole avvistare il leopardo delle nevi. Un grande felino (Panthera uncia), noto anche come uncia uncia, un gattone grigio maculato (alto 60 cm, lungo da 75 a 130 cm, del peso da 27 a 55 kg) originario della catena montuosa dell'Himalaya, inserito dallo Iucn (International Union for Conservation of Nature) nella lista delle specie animali a rischio di estinzione. Il progetto nasce in realtà per salvare i ghiacciai del Tibet, la terza concentrazione di acqua dolce del Pianeta dopo Artide e Antartide, la sorgente di tre dei più importanti fiumi dell'Asia - Mekong, Yangtze (Fiume Azzurro) e Huang He (Fiume Giallo) - da cui dipende l'esistenza dell'intera Cina e del Sud-Est Asiatico, in totale 2 miliardi di persone, il 30% della popolazione mondiale. Le fonti dei tre grandi corsi d'acqua sono comprese nella Sanjiangyuan Nature Reserve, un'area di 363.000 kmq (1,2 volte la superficie dell'Italia) nell'est e nel sud della provincia di Qinghai, per metà coinvolta nel progetto per proteggere i ghiacciai e le confinanti praterie (oggi pascoli dei nomadi), foreste (oggi disboscate) e sottosuolo (diverse attività minerarie in corso).

I ghiacciai tibetani si riducono però a causa del surriscaldamento globale, un fenomeno a cui la Cina contribuisce più di ogni altro Paese: nel 2012 ha superato gli Stati Uniti nell'emissione di CO2. Per proteggere i ghiacciai tibetani, indispensabili alla sopravvivenza stessa dei cinesi e delle loro industrie, Pechino dovrebbe regolare il suo sviluppo convulsivo e introdurre norme più severe sulle emissioni. Preferisce invece razionalizzare la vita di popolazioni, da sempre nomadi, che non hanno nulla a che vedere con l'effetto serra. Nomadi che secondo il progetto di Pechino vanno re-insediati in aree agricole dove le mandrie andranno recintate e i campi saranno coltivati in modo intensivo per produrre più foraggio e così più carne, più latte e più cuoio. E i figli dei nomadi - in nome dell'istruzione obbligatoria, veicolo di civiltà - saranno obbligati ad andare nelle scuole cinesi, perdendo così tradizioni e cultura tibetana. Protezione dell'ambiente ed ecoturismo diventano così il pretesto per inquadrare e rendere produttiva una popolazione che da millenni vive ai bordi dei ghiacciai, in armonia con una natura dura che non ha mai cercato di mutare, ma fuori dagli schemi del 'progresso cinese'.

L'itinerario in Tibet inizia a Lhasa, la capitale del tetto del mondo, circondata da un paesaggio maestoso con valli desertiche dominate da vette himalayane e monasteri impettiti. Lhasa è la capitale: il centro politico, culturale e religioso del Tibet prima dell'invasione cinese del 1959. "La città degli dei", dove viveva il Dalai Lama, la guida spirituale del mondo buddista, che ora vive in esilio a Dharamsala, in Himachal Pradesh (India del Nord). La sua città vecchia è affollata ogni giorno di pellegrini che, a passo lento tenendo in mano la ruota delle preghiere, percorrono per tre volte in senso orario il Barkhor, la strada che circonda il Jokhang, il tempio dal tetto d'oro: il più venerato santuario buddista del Tibet, dove i fedeli si prostrano di fronte al portone centrale. Le vie attorno al Jokhang sono animate dal mercato. Situata a 3600 m slm, Lhasa è dominata dal Potala, il palazzo del Dalai Lama, che si innalza sulla collina di Marpori. I suoi impettiti muri bianchi sono orlati di rosso sangue: celano le scalinate su cui si sale per visitare l'abitazione ufficiale del Dalai Lama e ammirare una collezione di sculture e affreschi del Buddha. Il Jokhang e il Potala sono i centri di una casta religiosa che negli ultimi anni ha riacquistato una piccola parte dei suoi antichi poteri. Prima dell'invasione cinese, i "Tre seggi dello Stato" dei berretti gialli - ossia la scuola buddista Gelugpa, quella che fa capo al Dalai Lama - erano i monasteri di Drepung, Sera e Ganden: tutti ubicati nella valle di Lhasa. Drepung, situato 8 km a ovest di Lhasa, significa 'mucchio di riso', perché è al centro dei terreni fertili che procuravano sostentamento ai religiosi. Fu la sede dei Dalai Lama prima della costruzione del Potala. Fino al 1959 ci vivevano 7700 monaci: ne rimangono 450.

Esplorando verso sud l'altopiano del Tibet, si entra nelle acque del Brahmaputra, seguendo il corso del fiume Kyichu a bordo delle gowa, le barche fabbricate con la pelle di yak (il bovino himalayano) stesa su di una intelaiatura di legno di salice. Si raggiungono le grotte di Drakyul, dove sono ambientate diverse leggende, e il monastero Dorje Drak, dove oggi sopravvive un unico lama. Si prosegue per Gyantse, la città che ospita il Kumbum. Costruito in terra, è uno dei più famosi templi buddisti: edificato come un mandala, su una pianta a croce, tenendo conto di elementi magici. Al suo interno si ammira una statua del Buddha ricoperta d'oro. Si raggiunge quindi Shigatse, con le case tibetane dominate da due corna di montone: proteggono dagli spiriti del male. Qui si visita un monastero con antichi tangka sulla vita del Buddha. Il periodo migliore per visitare il Tibet va da aprile a ottobre, nonostante luglio e agosto siano i mesi più piovosi. A cavallo tra agosto e settembre, i monasteri di Drepung e Sera (5 km a nord di Lhasa) ospitano il Shodum, o Festival dello Yoghurt: una sorta di opera tibetana con i monaci che, dopo aver steso un enorme tangka, danzano mascherati per scacciare gli spiriti del male. Il tangka è un dipinto su stoffa, spesso incorniciato da un drappo di broccato orlato di oro, che raffigura diverse rappresentazioni dell'Illuminato, arricchite dalla simbologia buddista. Il monastero di Ganden ospita invece, in luglio, il Festival del Tangka, con l'esposizione di tele e preghiere accompagnate dal suono dei tongchen, i lunghi corni di ottone o di rame.

autore: Marco Moretti
fonte: ecoturismoreport.it
Tommaso Tautonico
autore