20/11/2013 - 15:11

Generazione Distribuita e Reti Elettriche

La Legislazione in cerca di equilibri tra vecchi e nuovi paradigmi energetici
La novità degli ultimi anni è stata la crescita della cosiddetta Generazione Distribuita (GD). Essa è la risultante del concorso di due fattori determinanti: la liberalizzazione dell'attività di produzione e gli sviluppi delle applicazioni tecnologiche.
La nozione di GD rimanda ad una variegata pluralità di situazioni accomunate dal fatto che l'energia venga prodotta da impianti di taglia medio-piccola che alimentano, di norma, una domanda energetica che coincide, o è molto prossima, allo stesso sito di produzione. Una produzione energetica che si caratterizza, quindi, per la sua natura molecolare e diffusa sul territorio.
Questi caratteri rappresentano un radicale cambio di paradigma rispetto al tradizionale modello delle reti elettriche caratterizzate da una strutturazione, definita di tipo passivo, nella quale l'energia viene prodotta in poche centrali di grande taglia per essere poi trasmessa e distribuita all'utenza finale.
La diversa matrice tecnologica che ispira i due paradigmi pone sul tappeto tutta una serie di implicazioni di natura tecnica (gestione e sviluppo delle reti elettriche esistenti) e suscita un vivace dibattito culturale che soppesa gli aspetti positivi e negativi correlati allo sviluppo della GD.
La GD, è bene chiarirlo preliminarmente, è un insieme che non coincide totalmente con la produzione da fonti rinnovabili anche se le fonti rinnovabili hanno dato un impulso decisivo al suo sviluppo e ne costituiscono la parte preponderante.
La GD presenta degli indubbi punti di forza che si sostanziano nel cosiddetto costo evitato di sviluppo delle reti e nella riduzione delle perdite di trasporto, elementi entrambi che concorrono a determinare un significativo progresso in termini di efficienza energetica dell'intero sistema elettrico sia in termini di risparmio economico sia in termini di complessiva sostenibilità ambientale. Sull'altro piatto della bilancia come fattori di criticità pesano la scarsa programmabilità della produzione rinnovabile con il conseguente maggior costo dovuto alla necessità di aumentare le riserve del sistema.
La GD con la sua stessa esistenza prefigura, quindi, una transizione verso un sistema decentrato di produzione e consumo energetico e pone la necessità di approntare una regolamentazione complessiva capace di guidarne armonicamente lo sviluppo.
La disciplina normativa della GD è solo agli inizi e vi si nota, oltre alle ovvie resistenze provenienti dagli attori legati al paradigma tradizionale, la preoccupazione, da parte di tutti gli attori normativi coinvolti, di lasciarsi ampi margini di manovra nella regolamentazione del fenomeno.
Ciò risulta di palmare evidenza ove si esamini la fonte europea che nell'art. 1 n. 31 della Direttiva 2009/72/CE si limita ad affermare che per generazione distribuita si intendono gli "impianti di generazione connessi al sistema di distribuzione". Si tratta di una definizione che deliberatamente vuol lasciare impregiudicate tutte le possibili opzioni.
La normativa italiana presenta le definizioni di impianto di piccola generazione e di microgenerazione contenute nell'art. 1, comma 85 e 85 bis, del D. Lgs. 239/04 il primo quale "impianto per la produzione di energia elettrica, anche in assetto cogenerativo, con capacità di generazione non superiore a 1 MW" e il secondo quale "impianto per la produzione di energia elettrica anche in assetto cogenerativo con capacità massima inferiore a 50 kWe".
Manca, invece, nella normativa primaria e secondaria una definizione di GD.
L'AEEG ha individuato una definizione di GD quale "l'insieme degli impianti di generazione con potenza nominale inferiore a 10 MVA", ritraendola da una interpretazione sistematica di una serie di normative di settore nelle quali la soglia dei 10 MWA funziona quale discrimine per individuare le cosiddette unità di produzione rilevanti, fungendo la predetta soglia da indicatore per adempimenti procedurali diversificati in ragione della taglia dell'impianto.
Ci si riferisce al D.M. 25 giugno 1999 che, nel determinare l'ambito della rete di trasmissione nazionale, all'art. 3, comma 1, lettera b), punto i) utilizza la soglia dei 10 MWA per determinare le reti o parti di rete aventi tensioni nominali tra 120 e 220 kV facenti parte o meno della suddetta rete. Ciò ha comportato la prassi secondo la quale le richieste di connessione per impianti sopra la soglia vanno indirizzate a Terna mentre quelle per impianti sotto la soglia vanno indirizzate ai concessionari della distribuzione (prassi fatta propria dall'AEEG con l'art. 5.1 della deliberazione n. 281/05).
Ulteriore elemento utilizzato ai fini qualificatori si rinviene nella regolamentazione del dispacciamento nella quale la soglia dei 10 MWA funziona ancora da discrimine tra unità di produzione rilevanti e non ( si veda il Codice di Rete Terna approvato con deliberazione n. 79/05).
La soglia dei 10 MWA si ritrova ancora in tema di ritiro dedicato (D. Lgs. 387/03 art. 13, commi 3 e 4, e L. 239/04 art. 1 comma 41).
Conclusivamente l'AEEG nel documento "Monitoraggio dello sviluppo degli impianti di generazione distribuita" allegato alla Del. n. 160/2006 giustificava la soglia di 10 MVA come "atta all'individuazione di particolari insiemi di tipologie di produzione normalmente connesse alle reti di distribuzione e alle quali risultano applicabili particolari regimi di connessione e di cessione dell'energia elettrica".
Vincenzo Tabone
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