14/01/2013 - 17:41

Il divieto assoluto di modificare il regime delle acque nelle aree naturali protette

Nel quadro di un'interpretazione coerente con i criteri sanciti dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, il dato letterale e quello sistematico non lasciano, dunque, dubbi sul fatto che l'art. 11, comma 3 lett. c, l. 394/1991 stabilisce, in linea di principio, il divieto assoluto di modificare il regime delle acque nelle aree naturali protette (Corte di Cassazione Civile Sez. Un., 9 Novembre 2012, Sentenza n. 19389).
Nel caso di specie, la società E.V. richiese alla Regione V. favorevole Valutazione di impatto ambientale ed autorizzazione alla costruzione ed all'esercizio di un impianto idroelettrico ad acqua fluente, da prelevare dal torrente Mis, incidente,  in parte (il maggior tratto della condotta e la centrale di produzione), all'interno del Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi, specificamente in zona "Bl" della "riserva generale orientata", e, in parte (opera di captazione e tratta iniziale della condotta), all'esterno del Parco medesimo e in zona contigua.

In esito al rilascio dei preventivi pareri, tutti favorevoli (sia dell'Ente Parco nazionale delle Dolomiti bellunesi sia, con prescrizioni, della competente Autorità di bacino e della Commissione regionale Valutazione di impatto ambientale), la Giunta regionale del V., con deliberazione 29 dicembre 2009 n. ..., espresse favorevole Valutazione di impatto ambientale e autorizzò il progetto di E.V., nel contempo rilasciando autorizzazione paesaggistica ai sensi dell'art. 159 d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42.

Avverso detti provvedimenti ed i correlativi atti presupposti, W. Italia ed altre associazioni di tutela ambientale proposero ricorso al Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche. I ricorrenti addussero l'illegittimità dei provvedimenti impugnati:
a) per violazione del divieto di modifica del regime delle acque nelle aree protette, posto dall'art. 11, comma 3 lett. c, l. 394/1991 (legge quadro sulle aree protette) e dagli artt. 16 e 18 del piano del Parco;
b) per violazione del divieto di nuove costruzioni nelle aree predette, sancito dall'art. 12, comma 2 lett. b, l. 394/1991 e dall'art. 7 del piano del Parco.

Il Tribunale Superiore delle Acque Pubbliche, rilevata la carenza di legittimazione attiva dei sodalizi diversi da W. Italia, dichiarò l'inammissibilità dei relativi ricorsi e respinse, in quanto infondato, il ricorso di W. Italia, affermando che le disposizioni normative richiamate dall'ente ricorrente non erano tali da precludere l'esecuzione dell'impianto autorizzato.

Avverso tale decisione W. Italia ha proposto ricorso per cassazione, ai sensi dell'art. 201 l. 1775/1933.

Secondo i giudici della Corte di Cassazione l'interpretazione fornita dal giudice a qua, non è stata ritenuta, infatti, condivisibile.

La piana lettura dell'art. 11, comma 3, 1. 394/1991 consente, infatti, di individuarvi due momenti prescrittivi.

Il primo
, che {fatti salvi diritti reali e usi civici delle collettività locali, nei termini indicati dal successivo comma 5), impone inequivocamente, nei parchi, il divieto di tutte indistintamente le attività e le opere che possano comunque recar pregiudizio alla salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati.

Il secondo, che, introdotto dal perentorio incipit "In particolare, sono vietati: delinea, altrettanto inequivocamente, un catalogo di attività ed interventi - declinato alle lettere da a ad h e contemplante in particolare, alla lettera c, "la modificazione del regime delle acque" - direttamente inibiti dalla legge, in quanto, ritenuti, in forza di presunzione assoluta, di per sé idonei a compromettere "la salvaguardia del paesaggio e degli ambienti naturali tutelati" e, di conseguenza, vietati già in astratto ed indipendentemente da ogni apprezzamento circa la relativa concreta pericolosità. E, nell'ambito di tale catalogo, la modificazione del regime delle acque è, peraltro, ricompresa tra le attività (quelle di cui alle lettere a, b, e, g, ed, appunto, e), che sono vietate in termini assoluti, diversamente da quelle contemplate alle lettere d, f ed h, che lo sono, in senso relativo, "se non autorizzate" dall'ente Parco.

Nel quadro di un'interpretazione coerente con i criteri sanciti dall'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, il dato letterale e quello sistematico non lasciano, dunque, dubbi sul fatto che l'art. 11, comma 3 lett. c, l. 394/1991 stabilisce, in linea di principio, il divieto assoluto di modificare il regime delle acque nelle aree naturali protette.

Il rigore della previsione è, peraltro, temperato dall'art. 11, coma 4, l. 394/1991, che contempla la possibilità che, con il "regolamento del parco" siano introdotte "eventuali deroghe ai divieti di cui al comma 3. ...".

Diversamente da quanto opina il giudice a quo, con riferimento al caso di specie, una siffatta deroga non può, tuttavia, essere ravvisata, nella previsione l'art. 16 delle norme di attuazione del piano del Parco.

A prescindere da ogni considerazione in merito alle finalità che le menzionate eccezioni devono perseguire, occorre, invero, osservare che il quarto comma dell'art. 11 1. 394/1991 attribuisce il potere di introdurre deroghe ai divieti previsti dal precedente comma 3, in via esclusiva, al regolamento del Parco (disciplinato dal medesimo art. 11 ed, in base a questo, adottato dall'ente Parco e approvato dal Ministro dell'Ambiente); cosicché nessuna legittima deroga ai divieti in oggetto potrebbe in ogni caso mutuarsi da una disposizione, quale l'art. 16 in rassegna, facente parte, non del regolamento, ma del corpo delle norme attuative del piano del Parco (disciplinato dall'art. 12 della 1. 394/1991 ed, in base a questo, predisposto dall'ente Parco e adottato dalla Regione, sentiti gli enti locali).

In disparte tale rilievo, deve, peraltro, osservarsi che l'art. 16 delle norme attuative del piano del Parco, lungi dal derogarvi, non fa altro che confermare il generale divieto legislativo di modificare il regime delle acque nell'area di relativa pertinenza.

La disposizione ribadisce, infatti, il divieto di "qualsiasi intervento che modifichi il regime naturale delle acque superficiali e sotterranee" e, in particolare, di "ogni ulteriore derivazione delle acque superficiali e sotterranee per scopi idroelettrici e irrigui".
In via di eccezione, ammette solo (oltre agli interventi di manutenzione degli impianti idroelettrici già esistenti) la possibilità (subordinata, peraltro, a rigorosa procedura di autorizzazione) di "modeste derivazioni idriche", da riservare esclusivamente alle "finalità istituzionali" dell'ente Parco;
possibilità che - non essendo suscettibile che di stretta interpretazione per il ruolo di eccezione a regola generale - certamente non può ritenersi estesa (attese anche le finalità perseguite con l'istituzione delle aree protette, come definite dalla previsione di cui all'art. l della 1. 394/1991) alle derivazioni funzionali all'esercizio di impresa di produzione idroelettrica, seppur con energie rinnovabili.
Andrea Settembre
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