01/01/2013 - 01:00

Chiarimenti sui beni paesaggisitici

Si riporta la sentenza del Consiglio di Stato Sez. VI n.1366 del 3 marzo 2011 che detta interessanti linee guida sul processo di qualificazione dei beni paesaggistici
Si segnala l'ultima pronuncia della Sezione VI n. 1366 del 3 marzo 2011 del Consiglio di Stato in materia di qualificazione dei beni paesaggistici.

In particolare, secondo la predetta pronuncia in applicazione della lettera c) dell'articolo 134 del Codice dei Beni Culturali il piano paesaggisitico regionale (PPR) può qualificare come "beni paesaggisitici" quelle aree che pur non essendo inizialmente considerate come tali, vengono tipizzate e sottoposte a particolari vincoli di tutela; ciò si spiega in quanto il loro valore specifico degno di tutela è costituito da caratteri simili, o di analogo fondamento, rispetto a quelli considerati per i vincoli provvedimentali dell'art. 136 o per quelli ex lege dall'art. 142, e il cui effetto ricognitivo è quello proprio dei quei vincoli paesaggistici, cui si deve aggiungere un contenuto prescrittivo, posto dal Piano stesso contestualmente alla loro individuazione.

Infatti, la giurisprudenza (Cons. Stato, VI, 12 novembre 1990, n. 951; 10 dicembre 2003, n. 8145; v. anche Cons. giust. amm. sic., 2 maggio 2000, n. 201) analizzando la definizione del vincolo paesaggistico determinato ex lege per le zone di interesse archeologico ha affermato che si tratta di un vincolo ubicazionale, giacchè "è la relazione spaziale con particolari elementi localizzati, quelli sì di particolare valore paesistico o culturale, a connotare l'ambito territoriale come meritevole di tutela paesistica nelle forme approntate per le bellezze naturali", e prescinde dall'avvenuto accertamento, in via amministrativa (allora ai sensi della l. n. 1089 del 1939: oggi ai sensi della Parte seconda, cioè degli artt. 14 e ss. del Codice), dell'interesse specificamente archeologico delle aree stesse, in quanto le due tutele sono distinte ed autonome.
Inoltre, l'interesse archeologico è qualità sufficiente a connotare il contestuale ambito come meritevole di tutela paesaggistica, "per l'attitudine che il suo profilo presenta alla conservazione del contesto di giacenza del patrimonio archeologico nazionale, cioè quale territorio delle presenze di rilievo archeologico: qualità che è assunta a valore storico culturale meritevole di protezione"; quella delle aree di interesse archeologico è invero una "tutela distinta" da quella di cui alla l. 1 giugno 1939 n. 1089[oggi: Parte seconda, cioè artt. 14 e ss. del Codice], "avendo ad oggetto non già, direttamente o indirettamente, i beni riconosciuti di interesse archeologico, ma piuttosto il loro territorio"; l'interesse archeologico insomma "può essere titolo di due tipi di tutela, eventualmente concorrenti, e dunque oggetto di due distinti titoli di accertamento: quello relativo al patrimonio storico artistico, di cui alla l. n. 1089 del 1939 [oggi: Parte seconda del Codice],e quello paesistico, qui in questione".

In definitiva, la sentenza Sezione VI n. 1366 del 3 marzo 2011 del Consiglio di Stato non realizza un "ampliamento" di un vincolo di bene culturale come pare leggersi nella gravata sentenza (dove si parla di "ampliamento del vincolo già impresso all'area in questione" e di relative "modalità"): non solo perché questo non è dato ad un piano paesaggistico, ma soprattutto perché si tratta di vincolo di altra ratio e finalità e portatore di altro regime (il che - vale osservare - dissipa l'idea che si sia introdotto con questo improprio mezzo un ampliamento dell'area soggetta al regime della Parte seconda del Codice).
 
Alessio Elia
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