14/07/2015 - 20:30

Rinnovabili: investimenti doppi rispetto alle fonti fossili

Secondo Bloomberg, nei prossimi 25 anni saranno spesi 8.000 miliardi di dollari. Boom del fotovoltaico, anche in previsione di impiego nei paesi in via di sviluppo. Ma qualche limite resta.
La prestigiosa agenzia di informazioni finanziarie newyorkese Bloomberg ha pubblicato la settimana scorsa un'interessante analisi sullo scenario degli investimenti in campo energetico a livello globale fino al 2040. La previsione che massicci flussi monetari vengano sempre più dirottati dai combustibili fossili alle fonti rinnovabili non è una novità ma la notizia che nei prossimi 25 anni la quantità degli impieghi economici a favore degli impianti per l'energia pulita andrà a doppiare quella dedicata alle centrali convenzionali, rappresenta sicuramente una pietra miliare nella storia industriale. In questo nuovo scenario energetico, che vale complessivamente oltre 12.000 miliardi di dollari, circa 8.000 miliardi di USD saranno per le fonti rinnovabili e 4.100 per le fonti convenzionali. Il carbone attirerà 1.600 miliardi di dollari di investimenti, il gas naturale disegnerà 1.200 miliardi di dollari e il nucleare incrementerà a 1.300 miliardi di dollari gli impieghi nei prossimi 25 anni. Per contro, gli investitori andranno a spendere fino a 2.400 miliardi di dollari in impianti eolici ma il record assoluto spetta al solare fotovoltaico , dove sono previsti investimenti per 3.700 miliardi di USD.

Ma l'altra novità dell'analisi di Bloomberg starebbe nella individuazione della taglia degli impianti da sviluppare, secondo cui alle grandi solar farm si andrà a preferire l'installazione di pannelli sui tetti e impianti a terra di piccola scala: in tal senso gli impianti solari faranno un balzo di 17 volte, passando da 104 gigawatt dell'anno scorso a quasi 1,8 terawatt nel 2040. "Fino ad ora, l'investimento su impianti solari di piccola scala è stato dominato dai paesi ricchi come la Germania, gli Stati Uniti e il Giappone", dichiarano da Bloomberg. "Entro il 2040, le economie in via di sviluppo avranno speso 1.000 miliardi dollari su piccoli impianti fotovoltaici, in molti casi consentendo di fornire l'elettricità per la prima volta nei villaggi più remoti". Questo sarebbe possibile per due motivi, il primo è che la fonte è gratuita e disponibile a tutte le latitudini (e quindi non soggetta a interferenze "esterne") e il secondo è che i prezzi per i pannelli solari tenderanno a scendere sempre più, con una previsione fino al 47 per cento, anche senza i sussidi governativi.

Questa prospettiva è sicuramente allettante ma ci sono dubbi, anche fondati, circa la reale possibilità che i pannelli fotovoltaici riescano ad arrivare ovunque e fornire elettricità anche nelle lande desolate dei paesi più poveri, che poi, guarda caso, sono quelli che ne avrebbero più bisogno. Infatti la disponibilità di energia non interessa solo la produzione ma anche, ovviamente, la distribuzione. Le reti si costruiscono là dove c'è abbastanza "densità abitativa" da rendere sostenibile l'investimento. Quindi nei villaggi dell'Africa equatoriale, piuttosto che per quelli sulle Ande o nell'Amazzonia, il collegamento alla rete nazionale rimarrà sempre un miraggio. Per questo i sistemi a isola sono quelli più funzionali, con piccoli impianti capaci di erogare elettricità anche nei posti più isolati e tagliati su misura per ogni singola area (villaggi, case remote, ecc.).

Ma non è detto che saranno proprio le fonti rinnovabili a garantire la fornitura elettrica a tutti: il fotovoltaico, l'idroelettrico (anche mini), l'eolico, eccetera, necessitano di denaro per investimenti, di tecnologia disponibile in loco e di tecnici in grado di gestire la produzione e le manutenzioni. Tutte cose che nei paesi della periferia del villaggio globale non si trovano tanto facilmente. Certo, ci può essere l'Organizzazione umanitaria che ci prova, ma quando il progetto e il finanziamento è concluso, spesso tutto se ne va in malora, proprio perché non ci sono più i soldi e/o le competenze tecniche per le manutenzioni. Per assurdo, invece, è proprio la facile disponibilità (relativamente a buon mercato) dei combustibili fossili e la centenaria esperienza fatta sui motori a scoppio che l'energia viene garantita, nelle aree più remote, proprio dai generatori diesel. E questo non è sfuggito alle grandi aziende petrolifere (le famose sette sorelle) che durante i colloqui del Lima Climate Change Conference del Dicembre 2014 hanno avuto sponda facile nel sostenere che non si può barattare le emissioni di CO2 con il diritto delle popolazioni più povere ad avere energia a basso costo, al fine di consentirne il progresso. Greg Boyce, amministratore delegato del Peabody Energy Corp, il più grande produttore di carbone degli Stati Uniti, è stato più diretto, sostenendo che sarebbe "fuorviante e anti-poveri" disprezzare i combustibili fossili. Ecco quindi che anche nei paesi in via di sviluppo ci sarà la necessità di un mix energetico in cui nessuna fonte (convenzionale o rinnovabile) da sola sarà in grado di sostenere la crescente domanda di elettricità.

fonte: distrettoenergierinnovabili.it
Tommaso Tautonico
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