16/05/2013 - 15:29

Energie rinnovabili, in Italia penalizzate dal nimby

I cantieri per le infrastrutture legate alle energie rinnovabili sono spesso bloccati dalle proteste nimby. Più penalizzata la produzione di biomasse.
Quando si deve fare una scelta, uno dei criteri principali è la convenienza, soprattutto quella economica. Questo è particolarmente vero per quello che riguarda le utenze energetiche domestiche, poichè, al momento di porre le offerte di energia presenti sul mercato a confronto, lo scopo è sempre quello di trovare la soluzione più conveniente.
 
Un atteggiamento vincente per quanto riguarda le bollette, ma che potrebbe ritorcersi contro di noi in altri ambiti. Stando a quanto rilevato dall’Osservatorio Media Permanente Nimby Forum, nel corso del 2012 le contestazioni legate alla realizzazione di nuove infrastrutture sono cresciute del 7% rispetto all’anno precedente proprio a causa dell’effetto Nimby. A suscitare polemiche nella stragrande maggioranza dei casi la costruzione di nuovi impianti legati all’energia e allo sfruttamento di fonti rinnovabili, segno di come in Italia manchi ancora una cultura radicata in tal senso.
 
Se molti privati cittadini, infatti, sono favorevoli all'installazione di impianti fotovoltaici, solari o di cogenerazione nella propria abitazione, non altrettanto si può dire per i grandi impianti, la cui realizzazione interessa l'intero territorio dei Comuni. Qui scatta la sindrome Nimby (Not In My Back Yard, “non nel cortile di casa mia”): nessuno vuole queste strutture vicino casa.
 
Dai dati dell'Osservatorio è emerso che i progetti contestati hanno raggiunto quota 354, con 151 nuovi casi emersi nel 2012 e i restanti 203 ancora irrisolti da anni precedenti. Come accennato, nella maggioranza dei casi le liti sono nate attorno alla realizzazione di opere a carattere energetico. Su un totale di 354 sono infatti state 222 le liti deflagrate per via della creazione di infrastrutture nel comparto energetico (circa il 67%).
 
A destare allarme e preoccupazione sono soprattutto gli impianti di produzione energetica proveniente da fonti rinnovabili, con un totale di ben 156 casi sui 222 totali. A guidare la speciale classifica gli impianti a biomasse (108 sono stati quelli soggetti a contestazione), a seguire centrali idroelettriche (32) e  parchi eolici (32).
 
Il fronte dei no nella maggior parte dei casi è composto dai Comitati di cittadini (24,2%), seguiti a ruota da esponenti politici locali (20,7%) e dai Comuni (18,3%). Tra le motivazioni addotte a sostegno delle proteste quasi sempre la preoccupazione per l’impatto ambientale delle nuove infrastrutture sul territorio di riferimento, un timore certamente acuito dal caso Ilva e dal clamore che ne è derivato.  
 
 Questa situazione deriva di sicuro da un gap di conoscenze sugli effettivi benefici di un risanamento anche del suolo industriale.
 
Che il generale disaccordo si sia acuito dalle ultime vicende è indubbio ed era inevitabile che accadesse, ma se si va a fondo nella questione di sicuro si riscontrano mancanze culturali a riguardo in tutti gli strati della popolazione, dal sindaco di un paese al cittadino più semplice.
 
Per far fronte a questo tipo di problematiche è necessario un intervento strutturale che riguardi sia la popolazione che deve essere avviata ad un’apertura verso le nuove produzioni energetiche anche sul suolo vicino casa e dall’altro lato bisogna regolare e controllare che le costruzioni industriali siano fatte nel rispetto dell’ambiente umano e naturale circostante. 
SuperMoney
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