10/07/2020 - 16:55

Scampi mangia-plastica, l'ambiente marino è a rischio

Circa otto miliardi di tonnellate di residui dispersi in mare, percorso e quantità di materie inquinanti di cui si ignora l’ammontare. Lo studio dei ricercatori dell’Università di Cagliari, pubblicato dalla rivista Environmental Science and Technology, amplia i quesiti sulle condizioni ecosostenibili del pianeta e sulle modalità di intervento.

scampi mangia-plastica

Dal Disva un lavoro che apre scenari attuali e dibattuti. Centri e laboratori di ricerca, college e accademie, aziende e multinazionali del settore sono all’opera per intuire e rispondere all'emergenza. Con quali format, tempi e metodiche sono i quesiti chiave. Nel mirino degli studiosi inquinamento ambientale e marino, microplastiche, ruolo di alcune specie di crostacei, risposte e soluzioni a una catena di problematiche da non trascurare. Sul tema - con l’articolo bloccato a fine marzo dalle contingenze legate alla pandemia da Covid-19 - ha scritto anche un pool di studiosi dell’Università di Cagliari. Alessandro Cau, Claudia Dessì, Davide Moccia, Antonio Pusceddu, Rita Cannas e Maria Cristina Follesa, ricercatori e docenti del Disva (Dipartimento scienze vita e ambiente, ateneo di Cagliari).

I ricercatori hanno colto nel segno. In collaborazione con i colleghi dell’Università Politecnica delle Marche, il team ha scoperto che gli scampi, crostacei “gourmet” a elevato interesse commerciale, ingeriscono particelle di micro-plastica. Ma non solo. “Grazie a una particolare struttura presente nel loro tratto digerente nota con il nome ‘mulino gastrico’, che assolve alla stessa funzione dei denti nei mammiferi, gli scampi sono in grado di triturare e sminuzzare le microplastiche. I frammenti - spiega il professor Cau - sempre più piccoli vengono quindi eliminati in ambiente e divengono a loro volta potenziali contaminanti per animali marini più piccoli”. Insomma, ancora una volta la ricerca dell'ateneo brilla su scala internazionale ed è apri pista su tematiche di forte impatto.

Per cogliere alla perfezione l’importanza - innanzitutto scientifica ma con risvolti diretti e indiretti impattanti anche per la quotidianità collettiva - è fondamentale una premessa. “Negli anni 50, sull’allora unico canale Rai, spopolavano gli spot televisivi del grande Gino Bramieri sulla plastica a uso domestico: economica, colorata e resistente. Si stima - spiega Alessandro Cau - che negli ultimi settant’anni, ne siano stati prodotti oltre otto miliardi di tonnellate in tutto il mondo, di cui oltre l’80 per cento è disperso nell’ambiente, e la maggior parte arriva in mare”.

Il risultato? Da incubo. “Una grande quantità di questi rifiuti plastici si trasforma col tempo in minuscoli frammenti, chiamati microplastiche, che, per le loro ridotte dimensioni, possono essere ingerite dagli organismi marini” puntualizza gli studiosi dell’Università cagliaritana. Lo studio maturato al Disva - pubblicato sulla rivista Environmental Science and Technology, su un periodico della American chemical society e sullo Smithsonian magazine - ha messo in luce che il “percorso” inquinante della plastica, veicolato da animali come gli scampi in grado di triturare la plastica accumulata nell’ambiente marino, è più lungo, persistente e pervasivo di quanto si potesse prevedere fino ad oggi.

L’articolo dei ricercatori si inserisce, con intuizioni, criteri e osservazioni scientifiche di pregio, su una scia forte di una storica autorevolezza. Le principali testate scientifiche di profilo internazionale, tra cui Forbes Science, si occupano del tema affrontato al Disva. “Questi organismi non solo ingeriscono accidentalmente queste particelle, ma hanno un ruolo attivo nella triturazione e frammentazione delle microplastiche attraverso il ‘mulino gastrico’ che essenzialmente assolve alla stessa funzione dei denti. Questa triturazione che avviene durante la ‘digestione’ rende le particelle sempre più piccole e, una volta espulse dall’organismo, sempre più disponibili per altri animali sempre più piccoli, prolungando ulteriormente il viaggio delle plastiche nell’ambiente marino. Altri organismi - spiega il professor Cau - hanno analoghe caratteristiche anatomiche degli scampi. Potenzialmente, gli scampi potrebbero essere solo i primi di una lunga lista di animali marini che hanno un ruolo attivo nel triturare la plastica già accumulata nell’ambiente”.  Il quadro si amplia. “Le microplastiche sono primarie se vengono specificatamente prodotte di piccole dimensioni (da 5mm a 1 micron). Sono secondarie se derivano dalla frammentazione di plastiche più grandi. I nostri risultati hanno documentato come la natura accumuli un nuovo tipo di microplastiche secondarie: quelle che sono state processate biologicamente attraverso la triturazione e digestione”. La scoperta pone un quesito: quanta può essere la porzione di plastica accumulata nell’ambiente che ha subito una ‘manipolazione biologica’ nel corso dei decenni? Per il team del Disva potrebbe essere una frazione molto importante, sino ad oggi non considerata.

Tommaso Tautonico
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