22/02/2016 - 18:34

PN Majella: la convivenza uomo lupo è possibile

In più di un'occasione il Parco della Majella avuto la possibilità e l'onore di poter raccontare quello che si è sperimentato e messo in atto, negli anni, per la conservazione del lupo, in una terra, la Majella, dalla quale il lupo non è mai scomparso.
Soprattutto si è lavorato, negli ultimi anni, pensando che una convivenza tra uomo e lupo è possibile, soprattutto dove si ascoltano gli allevatori e si decidono insieme le cose da fare, non sulla base di posizioni mediatiche ed emotive, ma sulla base della conoscenza concreta e puntuale di quello che i territori esprimono, dal punto di vista scientifico, gestionale, culturale e sociale. Si è cercato di provvedere ad una giusta e rapida compensazione economica dei danni al bestiame, di assistere le aziende zootecniche con attività di supporto e di prevenzione, di rinforzare un rapporto consolidato di collaborazione con gli oltre 80 allevatori del Parco che aderiscono al progetto di assistenza per la zootecnia, di integrare queste iniziative con nuove attività, nate dal consiglio degli allevatori stessi, come l'esperimento della "restituzione della pecora predata". E soprattutto i tecnici del Parco hanno potuto collaborare alla conoscenza della vita dei lupi mediante le intense attività di ricerche svolte negli ultimi anni, anche con l'applicazione ai lupi di radiocollari satellitari, che aiutano a capire meglio le abitudini dei carnivori, e a monitorarne e limitarne l'impatto con le attività dell'uomo.

Il Parco della Majella è un esempio di convivenza guardato con interesse da molti paesi europei e molti enti gestori: ogni giorno i tecnici, gli organi del Parco, e soprattutto gli allevatori del Parco, insieme, sono impegnati nella difficile sfida del mantenimento delle nostre attività zootecniche tradizionali, ed importanti sia per la nostra cultura, sia per la nostra economia, sia per la tutela della biodiversità, in un territorio ormai rinaturalizzato e abitato da diversi branchi di lupo, con densità che raggiungono probabilmente i valori più elevati nel contesto europeo e, forse, mondiale (circa 10 branchi, circa 100 lupi, in 750 km2). Gli studi condotti dai ricercatori ci dicono che nel territorio del Parco i lupi si cibano del 91% di ungulati selvatici (Cinghiale, Capriolo, Cervo), e solo del 5,78% di animali domestici: questi numeri sono indice di un buon equilibrio ecologico, ma certamente non fanno abbassare la guardia rispetto alla tutela delle attività di allevamento tradizionali, che rimane uno degli obiettivi principali dell'ente nel favorire le politiche di conservazione. In uno degli ultimi studi condotti dall'Ente, nell'ambito del progetto Wolfnet 2.0, i tecnici del parco hanno intervistato un campione rappresentativo degli 80 allevatori per ottenere un aggiornamento rispetto al loro punto di vista. Il lupo rappresenta è certamente una questione centrale nelle problematiche gestionali delle aziende ma, in una delle terre con maggiore densità di lupi al mondo, solo il 13 % degli intervistati riporta la specie tra i problemi centrali della zootecnia in area montana. Alla richiesta di una valutazione quantitativa da 1 a 10 del lupo come problema aziendale, il 35 % ha fornito un punteggio inferiore o uguale a 5 e il 65% un punteggio superiore a 5; tuttavia solo due allevatori, pur riconoscendo l'impossibilità legale di effettuare un controllo numerico sulla specie, hanno espresso come soluzione il controllo numerico.

Di sicuro l'aumento dei costi gestionali da parte dell'azienda per la prevenzione e la dissuasione del danno a parte dei predatori è uno dei problemi delle nostre aziende, soprattutto di quelle a gestione familiare, ma è riportata solo dall'11% degli intervistati. E, ancora, il 4 % degli intervistati riporta come problematica aziendale l'inadeguatezza dell'indennizzo. Questa percezione non è correlata direttamente al valore del capo risarcito che viene valorizzato a prezzi al di sopra superiori a quelli di mercato, bensì dal mancato indennizzo dei capi dispersi. Questo aspetto si riconnette alla presenza di arbusteti/cespuglieti e di bosco fitto, dove il ritrovamento delle carcasse è molto difficile, comportando un aumento del tempo di ricerca e un aumento del consumo delle stesse. In questa direzione, l'attività di "restituzione della pecora", potrebbe essere estesa, nei prossimi anni, a compensare le perdite di tutte le pecore disperse nell'ambito di predazioni di lupo accertate. Di fatto, è una strategia finalizzata all'aumento della tolleranza che mira alla scomparsa completa dell'effetto predazione sull'attività zootecnica. L'ostilità nei confronti del lupo che si registra tra gli allevatori, dunque, non riguarda dunque il problema di natura economica legato al danno subito, poiché la presenza del predatore e il conflitto con la zootecnia, si collocano in un profondo cambiamento socio economico e di gestione del territorio. Nelle aree marginali montane dell'Appennino le attività produttive, si confrontano sia con i problemi complessivi della ruralità delle aree svantaggiate (l'eccesso di burocrazia e la carenza di strutture), sia con le problematicità legate alla convivenza con la fauna selvatica (ma in particolare, con i danni alle colture recati da cinghiali e altri ungulati).

Il Parco della Majella, dunque, anche in questi giorni, nei quali è alto il livello di attenzione sulla redazione del nuovo Action Plan per il lupo e sulla eventualità di previsione di abbattimenti, esprime ancora una volta la sua posizione, che è quella della necessità che la conoscenza del territorio e del dialogo con i portatori di interesse che, insieme all'utilizzo di dati scientifici aggiornati e puntuali, possono dare i giusti percorsi di convivenza per ciascun territorio. Quando invece si è travolti dai proclami mediatici e dal rimpallo delle posizioni contrapposte, a farne le spese non sono solo i lupi, ma soprattutto coloro che coraggiosamente hanno scelto di vivere nei territori di bellezza e qualità italiani, insieme al lupo, da sempre simbolo delle nostre montagne.
Tommaso Tautonico
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