01/01/2013 - 01:00

Mondopulito: si spengono le luci sul green business

A Mondopulito, il convegno di Espansione dedicato al green business, si è parlato dell' economia del futuro. Sarà un'economia etica e sostenibile. E non solo per (sacrosanti) motivi etici, ma perché, soprattutto in tempi di crisi, la "green economy" è quella che cresce più forte. Una delle poche che catalizza investimenti, stimola la ricerca e crea posti di lavoro.
È finito il tempo in cui le aziende occidentali scappavano verso i paesi emergenti anche perché sapevano di trovarci legislazioni meno rigide sulle tematiche ambientali, oltre naturalmente che per la manodopera a basso costo e per le legislazioni fiscali più convenienti. Un segno dei tempi che cambiano ce lo da il responsabile Pubblic Affairs di Renault, Andrea Baracco, che racconta come l'industria francese stia impiantando un Marocco uno stabilimento a impatto ambientale zero "per servire il mercato locale". Attenzione, locale: stiamo parlando del mercato del Nord africa! Perché la Green Economy è globale, e pretende che tutti facciano la propria parte: industrie, consumatori e naturalmente politica. Mai come in questo caso, la politica chiamata a pensare globalmente e agire localmente, come sintetizza efficacemente l'assessore della Provincia di Milano Giovanni De Nicola, parlando dell'impegno di lasciare ai nostri figli "Un pianeta, un'Europa, un'Italia, una Lombardia, una Provincia di Milano migliore di come l'abbiamo trovata". De Nicola non cita il Comune, che in effetti ha preferito non intervenire al convegno. Ma il fair play istituzionale non è mai venuto meno, anche perché il tema dell'ambiente è trasversale e interessa tutti gli amministratori, di ogni colore. In proposito, l'assessore all'ambiente della Provincia di Milano, Cristina Stancari, ha ricordato che "Per lo smog siamo in piena emergenza. Ma in trent'anni i picchi di polveri sottili si sono ridotte di due terzi, segno che tutti insieme qualcosa di significativo l'abbiamo fatto. Sicuramente non è abbastanza ma abbiamo iniziato un percorso di condivisione col comune di Milano e i sindaci della provincia". La Provincia, ente territoriale per eccellenza, in effetti ha molte responsabilità ambientali: "Anche se qualcuno ci vorrebbe sciogliere nell'acido" scherza il presidente della Provincia Guido Podestà, e continua: "Ma a noi la cosa non riguarda, noi tendiamo alla Città Metropolitana, a proposito di collaborazione tra Enti con maggioranze diverse stiamo facendo prove di pre-fidanzamento col comune di Milano per le Smart Cities europee".

E proprio dall'Europa arrivano potenti stimoli alla Green Economy: Matteo Fornara,direttore della rappresentanza a Milano della Commissione europea, dice che mentre il bilancio comunitario non cresce per via della crisi, si incrementano gli euro-investimenti per raggiungere il fatidico traguardo del 20-20-20: ridurre del 20% le emissioni di gas a effetto serra, portare al 20% il risparmio energetico e aumentare al 20% il consumo di fonti rinnovabili entro al 2020. Una sfida che vede una volta di più un Europa a due velocità, coi Paesi nordici che scalpitano per far diventare il 20-20-20 un 30-30-30 e l'Italia che fatica a raggiungere i suoi obiettivi, anche se facilitati al 17 e non al 20%. La presidenza di turno dell'Europa ora tocca alla Danimarca: "a Copenhagen la metà delle persone va a lavorare in bicicletta" dice Fornara. "E a Copenhagen dicono che non è una questione di hippy danesi (dicono proprio così, assicura Fornero). È questione di vero sviluppo per l'Europa. Se l'Europa sopravvivrà, coi gufi che danno solo dieci giorni di vita all'Euro, sentiremo molto parlare di questi temi". La Green Economy richiede un radicale cambiamento di mentalità a industria e consumatori, e per guidare questo cambiamento un ruolo fondamentale lo fa la comunicazione. Magari cominciando per gradi, dal semplice "green washing", che sarebbe poi il mettere in evidenza le caratteristiche verdi di un prodotto o un servizio, tacendo su quelle che tanto verdi non sono. "Per molti è un peccato capitale" dice Diego Masi, presidente di Assocomunicazione. "Ma è poi così vero? Secondo me se un'azienda comincia facendo greenwashing fa un po' la furbetta. Ma si avvicina ai temi della sostenibilità. Certo, deve essere una tendenza; parte un po' male ma poi si accorge che sposare una filosofia di vera sostenibilità gli porterà dei vantaggi". Il guaio è che forse è un po' tardi per accostarsi con un approccio così disinvolto al tema centrale su cui si gioca il futuro del mondo e verosimilmente dell'economia: i consumatori sono smaliziati e non perdonano, come dimostra lo studio di Green Intelligence presentato da Bruno Patierno: secondo i dirigenti delle aziende che fanno campagne di pubblicità green, solo il 39% dei consumatori si ferma s considerare la "verdità" del prodotto in sé, il 21% è più interessato al processo di produzione e ben il 40% da la stessa importanza alle caratteristiche ecologiche del prodotto e del modo in cui è fabbricato.

Dunque una campagna basata su green washing può facilmente diventare un boomerang: "Non sono d'accordo che anche poco green washing possa far bene" dice in proposito Piercarlo Pirovano, direttore marketing di Imq, l'agenzia che tra l'altro appone il marchio Imq Eco ai prodotti che lo meritano. "Se le aziende si dicono green ma poi offrono il fianco a critiche, va in crisi la credibilità dell'intero sistema. Ecco perché sevono i marchi di qualità di terze parti. Il problema è che ce ne sono fin troppi". La certificazione eco in effetti è un problema non da poco, tanto che Fabio Iraldo, docente della Bocconi, ci fa sapere che l'Europa starebbe modificando la disciplina sulla pubblicità : prima di poter vantare le caratteristiche green dei loro prodotti, le aziende dovranno avere la certificazione di un ente indipendente, altrimenti la loro pubblicità sarà presunta ingannevole. Intanto, continua Iraldo, "magari in futuro esploderà la nicchia della pubblicità verde. Ma da 15 anni siamo sempre attorno al 7-8 per cento delle campagne pubblicitarie. Verosimilmente, il fatto è che il green non remunera adeguatamente lo sforzo per comunicarlo. Il che spiegherebbe anche come mai la pubblicità green viaggia molto più sul Web che non sulla ben più costosa televisione".

Una conclusione con la quale non è però d'accordo Masi, che mette invece l'accento sul fatto che col Web si può fare quel che con la TV è impossibile: rispondere ai dubbi dei clienti, che vorrebbero comperare prodotti sostenibili ma vorrebbero essere certi che lo siano per davvero, e cita l'esempio di siti come Goodguide, un servizio americano che permette, attraverso una app per smartphone, di fotografare un prodotto al supermercato e sapere subito se è per davvero verde e prodotto con criteri etici. Informare correttamente è la vera chiave per il successo nella green economy: "se avete dati, pubblicateli" esorta Iraldo. Perché comunicare la sostenibilità non è affatto semplice, come ben sanno in Henkel, tra i pionieri del settore in Italia, che ha cominciato più per ragioni diciamo famigliari che non economiche: "L'azienda appartiene da sempre alla famiglia Henkel, che ancora oggi ha il 51%" dice Cecilia De Guarinoni di Henkel. "E ci hanno sempre chiesto che mai, per nessun motivo, il marchio Henkel finisca in uno scandalo ambientale. Così abbiamo comitati per lo sviluppo sostenibile a livello locale e internazionale, che coprono tutto il ciclo di vita dei prodotti". E c'è chi della sostenibilità ha fatto la vera ragione di vita aziendale come Weleda, che fa cosmetici naturali. Anzi, più che naturali, ci dice il suo manager Stefano Riva: "Noi non ci fermiamo al biologico, che si preoccupa della salute delle piante che ci danno le materie prime. Noi seguiamo i principi biodinamici, che si prendono cura anche della terra dove crescono, e che come un organismo vivente ha diritto al suo riposo".

Alla fine, emerge che il green in Italia è un mosaico complesso fatto anche di eccellenze ma che faticano a trovare un collante unico, anche perché spesso le aziende sono troppo piccole per poter competere sul serio su scala globale. Occorre fare sistema. E almeno in Lombardia, una opportunità la offre il Green Economy Network di Assolombarda, presieduto da Roberto Testore: "Ci ha sorpreso la quantità di aziende che fanno Green Economy in Italia. Ne abbiamo certificate trecento, e suddivise in un database filiera per filiera. Spesso sono eccellenze di primissimo livello, c'è chi fa le palette per le turbine che si usano nella depurazione dell'acqua e le vende in tutto il mondo, ma magari è troppo piccolo per poter partecipare alle gare d'appalto intercontinentali e deve accontentarsi gi giocare al ribasso per il depuratore di Gorgonzola. Allora abbiamo pensato di sfruttare l'occasione unica dell'Expo, che sta portando a Milano le delegazioni di 140 paesi del mondo: noi studiamo i paesi da cui vengono i delegati e presentiamo loro gli imprenditori che possono aiutarli per esempio a depurare le loro acque".
Tommaso Tautonico
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