20/03/2017 - 13:40
Moda sostenibile: basta vestiti usa e getta dannosi per l'ambiente
L'industria del tessile è il sttore più inquinante per l'ambiente. Cambiare abiti ad ogni stagione per acquistare nuovi vestiti a prezzi sempre più bassi e di poca durata senza riciclare più nulla ormai è diventato un must della moda degli ultimi anni. Ma l'impatto sull'ambiente è devastante.
La "fast fashion" sta spingendo ad acquistare abiti a poco prezzo ad ogni cambio di stagione. Gli abiti acquistati hanno una durata sempre più limitata e si è spinti a comprarne sempre nuovi perchè non più riciclabili. Con molta più facilità gli abiti già usati finiscono direttamente in spazzatura se non più di moda oppure se non è possibile rammendarli. Così l'industria del tessile diventa negli ultimi anni il settore più inquinante e dannaso per l'ambiente. Si stima che tra il 1995 e il 2014 il prezzo dei capi di abbigliamento è cresciuto molto più lentamente di quello di tutti gli altri beni di consumo, con un record nel Regno Unito dove il prezzo del vestiario è crollato del 53% conquistato folle impazzite di consumatori. Lo stilista inglese Tom Cridland, propone di tornare a produrre abiti che durano 30 anni.
Greenpeace Germania segnala che la produzione di abiti è raddoppiata dal 2000 al 2014 poichè c'è una maggiore richiesta da parte dei consumatori che acquista il 60% in più di capi ogni anno. Ma la durata dei capi di vestiario si è dimezzata rispetto a 15 anni fa, producendo rifiuti per circa 70 milioni di capi annualmente. Giuseppe Ungherese di Greenpeace spiega: "Il riciclo non è una soluzione. I mercatini sono saturi e la sfida tecnologica per riciclare al 100% le fibre non è ancora stata vinta. Le aziende dell'abbigliamento devono ripensare il modello usa e getta e produrre capi che durano".
L'industria del tessile provoca danni imponenti all'ambiente così come testimoniano le immagini dallo spazio della riduzione della superficie del Lago d'Aral, in Kazakistan a causa dello sfuttamento delle piantagioni di cotone, utlizzato nel 40% degli indumenti. Senza considerare che queste piantagioni utilizzano il 10% dei pesticidi e il 24% degli insetticidi impiegati dall'agricoltura mondiale. Se a questo poi va aggiunto l'utilizzo spropositato di acqua per i processi di lavorazione e tintura e il consumo energetico per il trasporto dai campi ai negozi di abbigliamento, il danno ambientale del settore è sotto gli occhi di tutti.
Greenpeace da anni ormai si batte per una moda più etica e sostenibile e chiedere ai produttori di utlizzare pratiche industriali più sostenibili. L'associazione Altromercato organizza da anni a Milano l'edizione italiana della Fashion Revolution Week (la prossima dal 24 al 30 aprile), dedicata alla "moda etica". Per limitare il ricambio forsennato del guardaroba con capi della durata pluriennale bisogna agire diffondendo una maggiore consapevolezza su cosa comporta la produzione a basso costo.
Greenpeace Germania segnala che la produzione di abiti è raddoppiata dal 2000 al 2014 poichè c'è una maggiore richiesta da parte dei consumatori che acquista il 60% in più di capi ogni anno. Ma la durata dei capi di vestiario si è dimezzata rispetto a 15 anni fa, producendo rifiuti per circa 70 milioni di capi annualmente. Giuseppe Ungherese di Greenpeace spiega: "Il riciclo non è una soluzione. I mercatini sono saturi e la sfida tecnologica per riciclare al 100% le fibre non è ancora stata vinta. Le aziende dell'abbigliamento devono ripensare il modello usa e getta e produrre capi che durano".
L'industria del tessile provoca danni imponenti all'ambiente così come testimoniano le immagini dallo spazio della riduzione della superficie del Lago d'Aral, in Kazakistan a causa dello sfuttamento delle piantagioni di cotone, utlizzato nel 40% degli indumenti. Senza considerare che queste piantagioni utilizzano il 10% dei pesticidi e il 24% degli insetticidi impiegati dall'agricoltura mondiale. Se a questo poi va aggiunto l'utilizzo spropositato di acqua per i processi di lavorazione e tintura e il consumo energetico per il trasporto dai campi ai negozi di abbigliamento, il danno ambientale del settore è sotto gli occhi di tutti.
Greenpeace da anni ormai si batte per una moda più etica e sostenibile e chiedere ai produttori di utlizzare pratiche industriali più sostenibili. L'associazione Altromercato organizza da anni a Milano l'edizione italiana della Fashion Revolution Week (la prossima dal 24 al 30 aprile), dedicata alla "moda etica". Per limitare il ricambio forsennato del guardaroba con capi della durata pluriennale bisogna agire diffondendo una maggiore consapevolezza su cosa comporta la produzione a basso costo.

Marilisa Romagno
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