16/02/2023 - 17:24

Meno del 5% delle imprese europee ha un piano credibile per l’obiettivo “1,5°C”

Circa la metà delle imprese europee dichiara di avere piani per la transizione climatica in linea con l’obiettivo degli 1,5°C, ma meno del 5% mostra progressi significativi in questo senso. Le aziende italiane ottengono risultati peggiori rispetto alla media europea: il 38% delle aziende italiane considerate è classificata in "fase di sviluppo"; nessuna come “avanzata”. Un terzo delle imprese collega la retribuzione dei propri dirigenti anche alla performance aziendale in materia di clima, acqua e deforestazione.

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Le imprese europee non riescono a sviluppare piani di transizione climatica credibili per allinearsi all’obiettivo di mantenere l’innalzamento della temperatura media sotto gli 1,5°C, così da realizzare un futuro più ecosostenibile. Lo dice un'analisi condotta su un campione di società che rappresentano in aggregato circa il 75% dei mercati azionari europei, pubblicata oggi dall'organizzazione no-profit CDP e dalla società globale di consulenza manageriale Oliver Wyman – un business di Marsh McLennan (NYSE: MMC).

A dimostrazione del fatto che le aziende europee si stanno rendendo conto della necessità di tali piani, il report “Stepping up” ha rilevato che circa la metà di queste (49%) dichiara di avere in atto un piano di transizione climatica per limitare il surriscaldamento a 1,5°C. Tuttavia, lo studio rileva che la maggior parte dei piani manca di ambizione e trasparenza in aree chiave essenziali per dimostrare risultati concreti, come la governance, la pianificazione finanziaria e il coinvolgimento dell’intera catena del valore.

Nel report sono incluse 86 realtà italiane che hanno presentato un rapporto a CDP sui temi del clima, 16 sulla salvaguardia delle risorse idriche e 6 sulla deforestazione. Meno del 5% delle aziende europee considerate (56) ha un obiettivo di riduzione delle emissioni allineato a 1,5°C e fornisce informazioni in relazione ad almeno due terzi degli indicatori chiave, dimostrando l'esistenza di un piano di transizione credibile (aziende “avanzate”). Un altro 30-45% delle imprese è classificato "in fase di sviluppo", ovvero ha obiettivi di emissioni meno ambiziosi (allineati all’obiettivo dei 2°C) e fornisce informazioni su almeno la metà degli indicatori. Il restante 50%+ delle aziende considerate ha mostrato solo progressi "limitati". L’Italia ha ottenuto risultati peggiori rispetto alla media europea: il 38% delle aziende italiane considerate è classificata in "fase di sviluppo"; nessuna come “avanzata”. Sebbene 9 su 10 abbiano avviato iniziative per ridurre le emissioni, il rapporto rileva evidenti lacune nelle azioni necessarie per la transizione verso gli 1,5 °C. Ad esempio, solo il 26% valuta in che misura le spese o i ricavi si allineano all’Accordo di Parigi e meno del 40% inserisce le questioni climatiche nei rapporti con i fornitori.

Di conseguenza, il report stima che fino al 40% del debito bancario delle aziende analizzate (1.800 miliardi di euro) sia erogato a favore di soggetti che non hanno obiettivi chiari o piani di transizione credibili. L'accesso al credito potrebbe diventare più difficoltoso man mano che le banche daranno attuazione ai propri piani di zero emissioni nette (“net zero”), decarbonizzando il proprio portafoglio impieghi. 8 istituzioni finanziarie su 10 che hanno condiviso i propri dati con CDP stanno già valutando l'allineamento agli 1,5°C dei loro clienti, almeno nei settori chiave.

Poiché il clima è solo una parte di una sfida più ampia legata alla sostenibilità, il rapporto ha esaminato anche le principali aree d'azione nell’ambito della biodiversità, della deforestazione e della sicurezza idrica. Il 7% delle aziende ha dichiarato di avere un obiettivo forte per ridurre le emissioni, il consumo di acqua e la deforestazione, mentre il 39% ha dichiarato di impegnarsi pubblicamente a favore della biodiversità.

Manca ancora l'incentivazione economica dei dirigenti aziendali al raggiungimento di questi obiettivi: sebbene il 54% delle imprese dichiari di valutare la retribuzione dei dirigenti anche sulla base di parametri legati al cambiamento climatico, meno di un terzo lo fa guardando nel loro insieme le dimensioni del cambiamento climatico, della deforestazione e dell'acqua.

In vista dell'entrata in vigore nel 2024 della storica legge dell'Unione Europea sull'obbligo di rendicontazione (la CSRD) si segnala una nota positiva: tra le aziende che condividono i propri dati con CDP, il 71% già inserisce i dati relativi al cambiamento climatico, alla deforestazione e alla sicurezza idrica nella relazione annuale di gestione per gli investitori. Per quanto riguarda i dati sulla biodiversità, invece, si scende a 1 azienda su 4. Nel frattempo, circa 1 impresa su 5 risulta avere una politica considerata "best practice" per ridurre l'impatto sull'acqua e il 29% adotta una politica "best practice" riguardo alla deforestazione zero. Solo il 5% dei player che comunicano a CDP i dati sulle foreste attualmente certifica che il 90% dei volumi delle commodity impiegate non contribuisce alla deforestazione, mentre solo il 13% valuta l'impatto della propria catena del valore sulla biodiversità.

Tommaso Tautonico
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