01/10/2024 - 17:52

La perdita di biodiversità costa ogni anno il 6% del Pil globale

Negli ultimi dieci anni il mondo si è concentrato sulla decarbonizzazione, creando un linguaggio unificato per affrontare il cambiamento climatico attraverso obiettivi chiari e condivisi di riduzione delle emissioni. Tuttavia, questa enfasi ha portato a un fenomeno noto come "carbon tunnel vision", che ha spinto le aziende a concentrarsi esclusivamente sulle emissioni di anidride carbonica, trascurando aspetti cruciali dell'impatto dell’uomo sull’ambiente come la preservazione della biodiversità.

biodiversità

La COP28 ha confermato il fondamentale ruolo della biodiversità nella salvaguardia ambientale, stabilendo un percorso congiunto tra i vari Paesi, utile a preservare gli ecosistemi naturali. Questi impegni sono stati racchiusi nel Kunming-Montreal Global Biodiversity Framework (GBF), sottoscritto da 196 governi, che segna un punto di svolta, poiché integra la preservazione della biodiversità nelle strategie aziendali e nelle politiche globali. Il GBF ha stabilito 23 obiettivi, tra cui il noto target "30x30", che mira a lasciare intatto almeno il 30% del pianeta entro il 2030, sottolineando il ruolo delle aziende nel contribuire al risultato nature positive (per cui non solo si tutela la biodiversità, ma si lavora per aumentarla).

Molte aziende dipendono da servizi ecosistemici offerti gratuitamente dalla natura, come la regolazione idrogeologica e la protezione da eventi climatici. Adottare una visione più ampia su impatti e dipendenze dalla natura, investendo nel ripristino degli ecosistemi, significa poter ottenere un ritorno economico e garantire la resilienza del business.” Afferma Fabio Alberto Favorido, Associate Director, Nature and Climate & Sustainability.

Come rivela l’ultimo report di BCG e Quantis, Harmonizing Infrastructural Progress with Nature, raggiungere le zero emissioni nette, uno degli obiettivi più ambiziosi del nostro tempo, richiederà investimenti massicci, stimati in quasi 5000 miliardi di dollari entro il 2030. Secondo il programma Net Zero Emissions (NZE) dell'AIE, infatti, gli investimenti annuali nel settore energetico cresceranno significativamente, passando dal 2,5% del PIL globale degli ultimi anni al 4,5% entro il 2030. Questo comporterà un aumento esponenziale della produzione elettrica, da 500 a 160.000 miliardi di dollari, nonché un raddoppio degli investimenti nelle infrastrutture. In particolare, le reti di distribuzione elettrica vedranno un incremento dai 320 miliardi di dollari attuali a 740 miliardi.

Per quanto questo tipo di approccio sia importante per contrastare il cambiamento climatico, può comportare rischi non trascurabili per la biodiversità, di cui sono già evidenti gli effetti: il calo della funzionalità degli ecosistemi costa all'economia globale più di 5000 miliardi di dollari all'anno. Ciò significa che ogni anno l'economia mondiale perde servizi ecosistemici per un valore pari a circa il 6% del PIL globale, un importo approssimativamente equivalente al valore di mercato totale della produzione agricola, forestale e ittica nel 2019.

Il settore infrastrutturale, insieme a quello energetico, è responsabile di circa il 35% delle pressioni sulla biodiversità, che si traducono in cambiamento del paesaggio con conseguenze negative sugli habitat e frammentazione delle risorse naturali. È quindi essenziale tenere conto della biodiversità come elemento chiave delle strategie di progettazione e negli investimenti infrastrutturali, affinché se ne valutino attentamente gli impatti a lungo termine per garantire benefici, sia naturali sia economici, duraturi

Tommaso Tautonico
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