01/01/2013 - 01:00

Ecoprofughi: i nuovi esuli del clima

Legambiente ha presentato ieri nell'ambito di Terra Futura, la mostra-convegno internazionale di buone pratiche di vita, di governo e d'impresa, in corso alla Fortezza da Basso, Firenze, fino a domenica 30 maggio, il nuovo rapporto "Ecoprofughi".
I dati sono sconcertanti: per il 2010 si stima che 50 milioni di persone abbandoneranno le proprie terre perché non più in grado di garantirne la sopravvivenza.
In fuga non da guerre né dalla fame, sono i profughi del clima, una nuova figura di esuli nata negli ultimi vent'anni e destinata a giocare un ruolo chiave nella nostra società contemporanea.
Queste persone scappano dai cambiamenti climatici che, manifestandosi attraverso eventi metereololigci estremi (alluvioni, uragani, esondazioni,..) rendono le loro terre aride ed improduttive.
Tra i paesi più esposti c'è il Bangladesh: nella capitale circa 400.000 persone su 12 milioni di abitanti sono colpite ogni anno da disastri meteorologici.
Dal fenomeno non è esente neanche il continente americano: la migrazione di un milione di persone all'anno dal Messico agli Stati Uniti secondo gli esperti è in parte causata dal declino ecologico di un paese che per il 60% versa in condizioni di degrado ambientale.

Nel dossier di Legambiente si legge che nel 2008 a fronte dei 4,6 i milioni di profughi in fuga da guerre e violenze, sono state 20 milioni le persone costrette a spostarsi temporaneamente o definitivamente in seguito ad eventi meteorologici devastanti.
Nel 1990 il fenomeno riguardava 25 milioni di persone.
Tra il 2005 e il 2007 l'agenzia dell'ONU ha risposto a una media annua di 276 emergenze in 92 Paesi, oltre la metà delle quali causate da calamità naturali, il 30% da conflitti e il 19% da emergenze sanitarie.
Entro il 2050 l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) e l'International Organization for Migration (IOM) stimano che si oltre 200/250 milioni di persone saranno coinvolte da questo fenomeno (una ogni 45 nel mondo), con una media di 6 milioni di uomini e donne costretti ogni anno a lasciare i propri territori.

Ma com'è possibile arginare questo fenomeno?
Maurizio Gubbiotti, coordinatore della segreteria nazionale di Legambiente, ha detto "Da una parte bisogna arrivare al definitivo riconoscimento dello status giuridico di rifugiato ambientale. Ma ancora più importante è l'avvio di una politica di cooperazione internazionale molto più attenta a questi aspetti: non ci potrà essere un nuovo "Protocollo di Kyoto" dedicato all'abbattimento della CO2 senza che al suo interno sia previsto un capitolo dedicato alle azioni e alle risorse per mitigare le conseguenze dei mutamenti climatici".
Le aree in cui è necessario intervenire con urgenza sono molteplici: dai piccoli Stati insulari del Pacifico e dell'Oceano Indiano, che rischiano di essere sommersi a causa dell'innalzamento del livello del mare, agli Stati africani minacciati da siccità e desertificazione, ai Paesi costieri esposti ai cicloni e all'innalzamento dei mari.

Ma anche la nostra penisola ha già iniziato a scontare gli effetti del riscaldamento globale.
Negli ultimi 20 anni, infatti, in Italia si è triplicato l'inaridimento del suolo e si stima che il 27% del territorio nazionale rischia di trasformarsi in deserto.
Secondo l'ultimo Rapporto Enea disponibile le regioni considerate più a rischio sono: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna e Sicilia.
Particolarmente grave è il caso della Sardegna, dove risulta essere già colpito l'11% del territorio regionale.
A forte rischio anche le zone interne della Sicilia, in particolare la provincia di Caltanissetta, Enna e Catania e lungo la costa agrigentina, e la Puglia, dove solo il 7% del territorio regionale non è affetto dal rischio deserto, mentre il 93 % è mediamente sensibile (47,7%) e molto sensibile (45,6%).
Lisa Zillio
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