01/01/2013 - 01:00

Acque utilizzate per scopi geotermici: assimilazione alle acque reflue domestiche

Non è fondata la questione di legittimità costituzionale relativa all'art. 24 della legge reg. Friuli Venezia Giulia n. 6 del 2011 che ha modificato l'art. 18 della legge reg. 15 maggio 2002, n. 13, aggiungendo al comma 26 la lettera c-ter) che prevede, con riferimento alla disciplina degli scarichi, l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici - Corte Costituzionale 20 aprile 2012, n.100
Nel caso di specie, il Presidente del Consiglio dei ministri, con ricorso notificato il 18 luglio 2011 e depositato il successivo 26 luglio, ha sollevato questione di legittimità costituzionale degli articoli 1 e 24 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia 19 maggio 2011, n. 6 (Disposizioni in materia di attività estrattive e risorse geotermiche), per violazione dell'art. 117, secondo comma, lettera s), della Costituzione.
Il ricorso ha avuto ad oggetto due diverse norme della legge reg. n. 6 del 2011 che, secondo il ricorrente, avrebbero violato la competenza legislativa esclusiva dello Stato nella materia «tutela dell'ambiente e dell'ecosistema».

La prima censura riguarda l'art. 1, della legge reg. n. 6 del 2011 che ha modificato l'art. 1 della legge reg. 18 agosto 1986, n. 35 (Disciplina delle attività estrattive), aggiungendo il seguente comma 1-quater: «All'interno dei parchi regionali, comunali e intercomunali di cui alla legge regionale 30 settembre 1996, n. 42 (Norme in materia di parchi e riserve naturali regionali), è vietato l'esercizio di nuove attività di ricerca e di coltivazione delle sostanze minerali a eccezione di quelle relative alle pietre ornamentali comprese le cave di pietra ornamentale in sotterraneo, così come in aree di falde acquifere».

Il ricorrente indirizza le sue doglianze nei confronti del fatto che il nuovo comma 1-quater dell'art. 1 della legge reg. n. 35 del 1986, aggiunto dalla legge reg. n. 6 del 2011, pur avendo introdotto il divieto di esercitare nuove attività di ricerca e di coltivazione di minerali nei parchi regionali e comunali, «non ha previsto alcun divieto per le attività già in essere consentendone, pertanto, la prosecuzione».

In tal modo, secondo il ricorrente, la Regione avrebbe accordato al bene ambiente una tutela inferiore rispetto a quella predisposta dal legislatore statale, in violazione anche dell'art. 22, comma 1, lettera d), della legge 6 dicembre 1991, n. 394 (Legge quadro sulle aree protette), in base al quale i regolamenti delle aree protette regionali sono adottati secondo i criteri stabiliti con legge regionale in conformità con i principi di cui all'art. 11 della medesima legge che, a sua volta, al comma 3, lettera b), vieta espressamente l'apertura e l'esercizio, nei parchi nazionali, di cave, miniere e discariche, nonché l'asportazione di minerali.

La censura promossa nei confronti dell'art. 1, comma 1-quater, della legge reg. n. 35 del 1986 (così come modificata dall'art. 1 della legge reg. n. 6 del 2011) si fonda, infatti, sul presupposto che tale norma disciplinerebbe il regime transitorio, autorizzando, implicitamente, la prosecuzione delle attività estrattive già in corso prima dell'introduzione del divieto.

Secondo la corte, tuttavia, il ricorrente trascura di considerare che il regime transitorio è disciplinato dall'art. 21 della legge reg. n. 6 del 2011 secondo il quale: «I procedimenti in materia di attività estrattiva in corso alla data di entrata in vigore della presente legge sono conclusi dall'Amministrazione regionale in applicazione della normativa previgente».

Ne consegue che la questione proposta avrebbe dovuto essere riferita al citato art. 21 e non già a quello oggetto del presente giudizio di costituzionalità.

La corte afferma, pertanto, che l'inesatta indicazione della norma oggetto di censura comporta, per costante giurisprudenza, la manifesta inammissibilità della questione (ex plurimis ordinanze nn. 335 e 248 del 2010 e n. 92 del 2009).

La seconda questione promossa dal Presidente del Consiglio dei ministri attiene all'art. 24 della legge reg. n. 6 del 2011 che ha modificato l'art. 18 della legge reg. 15 maggio 2002, n. 13 (Disposizioni collegate alla legge finanziaria 2002), aggiungendo al comma 26 la lettera c-ter) che prevede, con riferimento alla disciplina degli scarichi, l'assimilazione alle acque reflue domestiche delle acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici.

Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri la disciplina delle attività estrattive e delle risorse geotermiche, afferendo necessariamente alla tutela dell'ambiente, sarebbe di competenza legislativa esclusiva dello Stato, ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. Inoltre, la norma impugnata si porrebbe in contrasto anche l'art. 144, comma 5, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, invece, ha esercitato la propria competenza legislativa in conformità a quanto previsto dall'art. 101, comma 7, lettera e), del d.lgs. n. 152 del 2006, che, nell'individuare i criteri generali della disciplina degli scarichi delle acque, espressamente prevede che la normativa regionale possa assimilare alle acque reflue domestiche le altre acque reflue che abbiano caratteristiche qualitative ad esse equivalenti.

La norma censurata si limita ad equiparare, facoltà espressamente prevista dalla norma statale sopra citata, ai fini della disciplina degli scarichi, le acque utilizzate per scopi geotermici - che non siano state utilizzate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici - alle acque reflue domestiche.

La Corte afferma che “poichè non è irragionevole ritenere che tale tipologia di acque presenti caratteristiche equivalenti a quella delle acque reflue domestiche - né, comunque, il ricorrente ha fornito argomenti atti a comprovare l'erroneità di tale equiparazione - si deve concludere che legittimamente la Regione ne ha assimilato la relativa disciplina“.

Ad ulteriore riprova della equivalenza di questo tipo di acque con quelle domestiche, sostiene il collegio, che deve considerarsi che l'art. 104 del d.lgs. n. 152 del 2006, nel vietare lo scarico diretto nelle acque sotterranee e nel sottosuolo, prevede che possano essere escluse dal suddetto divieto, tra le altre, proprio le acque utilizzate per scopi geotermici.

Lo stesso legislatore statale, dunque, esclude che le acque utilizzate per scopi geotermici presentino rischi di natura ambientale e addirittura giunge a prevedere che le stesse possano, «dopo indagine preventiva», essere reimmesse direttamente in falda.

In ogni caso, afferma il collegio, “giova ripetere che il legislatore regionale ha espressamente limitato la portata dell'equiparazione alle sole acque utilizzate per scopi geotermici che non siano state impiegate nell'ambito dei cicli produttivi e che non abbiano subito trattamenti chimici“.

Pertanto, la  Corte Costituzionale dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 24 della legge della Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia n. 6 del 2011.
Andrea Settembre
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